Appoggia il libro e si siede sul telo da bagno.
Stringe nella mano la sabbia bianca quasi impalpabile assorbendone il calore.
Si alza, prende pinne e maschera e entra in mare.
In pochi passi l’acqua le arriva ai fianchi, si gira e inizia a pinneggiare, seguendo la corrente, è abbagliata dal riflesso del sole, lo snorkel le permette di respirare.
L’acqua si fa più fresca e più profonda e apperna oltrepassato
il limite dei coralli si colora di un blu intenso, riparo per gli abitanti
dell’abisso.
Costeggiando la barriera si ferma e prende fiato, la testa fuori dall’acqua.
Poi scende. Lentamente. E’ immersa in una vita aliena. Capovolta. Il non
respirare le da’ respiro. Quello che vede è solo suo, ogni colore, ogni guizzo
di pesce, ogni danza di anemone è lì per lei. Ogni volta che scende vorrebbe
fermarsi più a lungo, bastare a sé stessa ma deve arrendersi alla tirrania dei
polmoni che chiedono aria e, riemergendo per prendere fiato, maledice
quell’ossigeno che non riesce ad assorbire dall’acqua.
Fuori, lontano dal mare, è tutto più difficile e pesante. Le parole, gli abiti, i gesti, gli oggetti. I despoti si moltiplicano, a volte è persino difficile ricordarsi di quanto l’aria sia indispensabile.